I differenti mondi di Greta e Donald – Davos 2020

di MICHELE DI SCHINO

“Abbiamo fatto alcune richieste quando siamo arrivati. Ovviamente sono state completamente ignorate. Ma ce lo aspettavamo”, la sintesi dell’esperienza a Davos dell’attivista Greta Thunberg è gelida e definitiva: la richiesta principale di fermare immediatamente i finanziamenti all’utilizzo dei combustibili fossili è stata sostanzialmente, se non ignorata (soprattutto il valore mediatico di Greta non lo avrebbe permesso), certamente snobbata con un pizzico di fastidio e di arroganza da parte dei partecipanti al World Economic Forum riuniti nella località svizzera (su tutte, la poco simpatica gag del ministro del Tesoro americano, Steven Mnuchin, che ha sostanzialmente invitato la ragazza a studiare e farsi risentire in seguito).

Ma se gli addetti ai lavori hanno preferito derubricare il problema ambientale ad elemento di discussione non gradito negli incontri di Davos, sicuramente non lo ha evitato Donald Trump, che nel suo appello contro i “perenni profeti di sventura” ha sostanzialmente ribadito quella posizione, politica e industriale, che non vede nessuna crisi ambientale all’orizzonte (forse perché ci siamo già dentro da un bel pezzo) e non la ritiene, comunque, una problematica o una necessità tale da limitare, ancor prima che invertire, un modello produttivo consolidato (e ben tutelato).

Posizioni inconciliabili, lontane anche linguisticamente, che impongono di pensare a una nuova Davos, dove l’economia non rimanga elemento preponderante, unico, onnicomprensivo e incapace di ridefinire i propri modelli di sviluppo di fronte a sfide ben più globali della “semplice” economia mondiale.